CNEL: le imprenditrici percepiscono ancora la discriminazione di genere



E’ stato pubblicato il rapporto del CNEL relativo al lavoro femminile; il documento analizza tutti gli aspetti relativi alla situazione femminile, in riferimento sia alle dipendenti sia alle imprenditrici. In
riferimento a quest’ultime il CNEL cerca di fare il “punto della situazione” e capire quanto sono state efficaci le normative a sostegno delle donne.
Già nel 1976 la direttiva CEE – successivamente assorbita dalla giurisprudenza italiana - ha affermato la parità di trattamento tra uomini e donne, alcune regioni - tra le quali Veneto, Val D’Aosta, Abruzzo, Molise e Sicilia – hanno addirittura esteso le tutele per quelle donne che cercavano di aprire una propria attività commerciale.
La normativa italiana è la n. 215 del 1992, successivamente modificata dal D.P R. n 314 del 2000 e ulteriormente semplificata l’anno successivo (2001) nelle procedure di richiesta dei fondi.
Nonostante llo sforzo attuato dalle istutuzioni pubbliche del nostro paese al fine di garantire  la parità di trattamento tra uomini e donne - ultimo tra questi il Piano Italia 2020 -, da una ricerca condotta da Drovandi e Tronu nel 2009 emerge ancora una forte percezione di discriminazione soprattutto per quanto riguarda la fiducia che gli isituti di credito e i fornitori ripongono nel trattare affari con le donne.
In definitiva, quindi, nulla è cambiato e le donne si trovano ancora ad essere svantaggiate rispetto ai colleghi di sesso maschile. Tale percezione non è soltanto apparente poiché da un’altra ricerca, condotta da Alesina, risulta che le imprese femminili, a parità di condizioni e settore di attività, pagano un tasso di interesse più alto (con precisione l’incremento ammonta all 0,3%). Paradossalmente tale differenziale si annulla se l’imprenditrice porta come garante un uomo e, invece, incrementa ancora di più il divario in eccesso se si tratta di una donna.
No, non si tratta di un errore di comprensione ma, nel XXI secolo ci troviamo ancora di fronte a soggetti che non valutano soltanto i numeri ma giudicano dall’apparenza:
-una donna non è ritenuta affidabile e cresce il tasso di interesse;
-un uomo come garante di una donna infonde affidabilità al soggetto erogatore e l’azienda viene percepita come di proprietà maschile e si applica lo stesso tasso d’interesse che verrebbe applicato a un imprenditore (uomo).
-due donne sono considerate altamente inaffidabili e il tasso d’interesse lievita molto al di sopra della media maschile e femminile.
Urge una domanda: i soldi non sono sempre gli stessi?
I bilanci e i business plan non sono dati oggettivi?
Come fa una donna a lanciarsi nel mondo dell’imprenditoria se i primi a non darle fiducia sono gli stessi istituti di credito?

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