Imprenditrici madri: un binomio veramente tutelato?



Le donne italiane sono incentivate a svolgere in contemporanea una soddisfacente vita professionale e familiare o, al contrario, le politiche pubbliche non riescono a garantire questo connubio?
Un problema, questo, che è di pregnante attualità soprattutto in questo periodo di crisi nel quale il “secondo stipendio” non è soltanto una “comodità” ma una necessità.
La riuscita di queste politiche è il frutto di una necessaria combinazione di più fattori e la “buona volontà” manifestata dalla donna, aspirante imprenditrice, da sola non è sufficiente per l’esito positivo del progetto.
Ad essere messi in campo sono sia il contributo offerto in primis dal partner (marito o padre del bambino), dalla rete informale – quando esiste – caratterizzata da parenti e amici stretti e, in ultimo – ma non in ordine di importanza – dal settore pubblico.
La madre, ancora più del padre, vive con grande sofferenza il distacco dal proprio figlio vivendo spesso come “abbandono” quello che è un semplice “affido” per poche ore al giorno, in un luogo sicuro con persone fidate. La donna – e soprattutto l’imprenditrice – deve rientrare al proprio posto “il prima possibile” e riprendere le “redini” dell’azienda per evitare sia che l’azienda soffra troppo la mancanza del proprio leader sia per non “restare indietro” con le normali prassi lavorative.
Il costo dei nidi, inoltre, è un’ulteriore criticità alla quale vanno incontro i neogenitori che si trovano a dover spendere molto anche per affidare il proprio piccolo a delle strutture pubbliche.
Molte Regioni ed enti locali stanno “battendo” con seminari, incontri e politiche di genere al fine di scardinare i pregiudizi nei confronti di una donna e far capire che non sempre è facile conciliare. Queste azioni, però, paradossalmente, sono più semplici da realizzare quando si tratta di una dipendente donna mentre è molto più complesso trovare un compromesso, quando si tratta di una imprenditrice, libero professionista o manager in generale. In questo caso, infatti, non soltanto è molto più complesso trovare un sostituto ma, soprattutto per le micro e piccole imprese, l’assenza della titolare potrebbe risultare deleteria o, nel peggiore dei casi, fatale per l’azienda in questione.
Lo Stato agevola le donne con dei contributi a sostegno della maternità ma, certamente, lo “spietato mondo degli affari” non si fa scrupoli né si cura se una donna ha difficoltà a conciliare le proprie sfere di vita.
Ferruccio Dardanello, presidente di Unioncamere, sottolinea che le donne imprenditrici non sono sole e affidate al proprio destino ma “il sistema camerale sostiene l'universo dell'imprenditoria in ‘rosa' attraverso la rete dei comitati per l'imprenditoria femminile, presenti in tutte le province italiane. Oggi più che mai a queste imprenditrici occorre guardare con grande attenzione, sostenendole nel loro percorso di rafforzamento. Il loro impegno è una grande risorsa sulla quale il Paese può scommettere per riprendere, dopo la bufera di questi mesi, la via dello sviluppo".
Cosa c’è di differente negli altri Stati (principalmente del nord Europa) nei quali questa condizione è vissuta non come un problema ma come una normale fase della propria vita?

Innanzi tutto una politica fiscale che possa supportare meglio i periodi di “assenza” della titolare e, al contempo, un sistema infrastrutturale per la puericultura molto più consolidato e rodato di quello italiano. Se non si risolvono tali criticità il perseguimento degli obiettivi fissati alla Conferenza di Lisbona (in merito all’occupazione femminile e ai servizi per l’infanzia) saranno solo promesse “da marinaio”.
Valorizzare le differenze tra uomini e donne e le incombenze culturali connesse al sesso. La Consigliera di Parità Alessandra Servidori si è dimostrata fiduciosa nelle politiche sociali che il nuovo governo potrebbe mettere in pratica e, del resto, i dati rilevati dall’Osservatorio Nazionale di Unioncamere in merito alla crescita delle imprese rosa, dovrebbe far riflettere il neo ministro Elsa Fornero.
Rispetto allo scorso anno, infatti, sono state registrate quasi 9mila aziende “rosa” in più ma, affinchè si superi la fase dello “start up” e questo dato non precipiti drasticamente (seguendo il trand negativo registrato in Sicilia e Basilicata), urgono politiche di conciliazione veramente efficaci nei fatti e non solo nelle parole. Un allarme che arriva anche da uno studio condotto da Confartigianato che sottolinea come il nostro paese sia nei primi posti di una classifica europea che investe meno sui servizi di welfare correlati alla conciliazione. Urge, dunque, risalire nella classifica dei paesi virtuosi e spendere più dell’1,3% del PIL per interventi per famiglia e maternità: utilizzare i fondi pubblici investendo, dunque, sulle politiche di genere e sulle opportunità offerte alle donne.

Fonte: CorriereInformazione

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