Moda tra identità e comunicazione. L’abito e la costruzione dell’io sociale

Per secoli, gli individui hanno interpretato la moda dell’abbigliamento come un argomento futile, opportuno soltanto per arricchire gli argomenti in un salotto. Mantenere lo stesso pensiero oggi, nella società contemporanea, in cui “l’apparire diventa sinonimo dell’essere”, significa non comprendere il “fenomeno” della moda come potente strumento di comunicazione di massa.
E’ ciò che Marcella Sardo spiega nel suo saggio: “Moda tra identità e comunicazione. L’abito e la costruzione dell’io sociale”, progetto nato come tesi di laurea e, successivamente, rielaborato per diventare un libro di antropologia (Bonanno Editore, 2007). Dai tempi di Eva, del suo peccato originale che ha portato gli esseri umani a coprirsi per pudore, l’abbigliamento NON può essere preso in considerazione soltanto per la funzione di “ripararsi dal freddo”. Oggi abbiamo la percezione di “essere liberi”, scegliere il proprio abbigliamento senza che stereotipi o influenze esterne condizionino le nostre scelte. Se questa affermazione è corretta, e come chiarisce Polhemus siamo nell’era del “supermercato degli stili”, non dobbiamo dimenticare che alcune regole di comportamento esistono ancora e il rifiuto ad accettarle può comportare l’esclusione dal gruppo di appartenenza. Se ciò sembra ancora un argomento che si può “relegare” esclusivamente agli studi di psicologia o sociologia in senso stretto allora non si è ancora compresa l’etergeneità dei campi di interesse dell’abbigliamento. Per fare un esempio concreto prendiamo, come ambito di azione, un ufficio: l’uomo non è più vincolato all’uso della cravatta e, nello scegliere un abbigliamento “casual” – e su questa accezione si potrebbe aprire un’ampia parentesi – può indossare i jeans, indumento nato esclusivamente per il lavoro “duro” in cui servivano tessuti resistenti. Sicuramente non esiste lo stesso livello di tolleranza se si presenta con dei bermuda che salgono al di sopra del ginocchio o con una canotta che lascia le spalle scoperte. Anche la donna – e in alcune occasioni è bene utilizzare l’avverbio “soprattutto” – è vincolata ad alcune norme di comportamento che tacitamente le vietano di indossare tessuti troppo aderenti, scollature abbondanti o indumenti che, in generale, mettono eccessivamente in risalto i suoi pregi. Cosa accadrebbe a queste persone che “derogano” le regole non scritte dalla società? Sicuramente sarebbero scartati in un colloquio di lavoro o, in un rapporto tra pari – ad esempio durante una riunione di lavoro - subirebbero un calo della loro autorevolezza. Se ciò che importa è la “sostanza”, le capacità che l’individuo possiede interiormente e non come si mostra all’esterno bisogna chiederci il perché tutti –senza nessuna esclusione di sorta – gli esseri umani ci lasciamo influenzare dalle apparenze. Questo è soltanto una delle domande che Marcella Sardo si pone e, come una matassa cerca di risolvere nel suo lavoro che deve essere letto come un “manuale” per comprendere meglio sé stessi per interagire con gli altri. Il marketing e le relazioni pubbliche, ad esempio, sono notevolmente influenzati dall’effetto alone che emana l’abbigliamento e, attraverso la comprensione del modus operandi et vivendi si possono fare delle analogie con campi che, apparentemente, sembrano lontani anni luce dal settore del vestiario. Molti argomenti possono essere visti e compresi attraverso le lenti culturali della moda dell’abbigliamento, tra gli altri possiamo citare: le nuove competenze richieste a un manager pubblico, la promozione di un brand o la diffusione dei valori aziendali.  

Fonte: CorriereInformazione

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