La parità di genere come strategia di business: politiche family friendly e asili nido



Dalla ricerca commissionata da Christine Lagarde, presidentessa del fondo monetario internazionale, è emerso che l’economia mondiale perde il 15% del reddito a causa della discriminazione delle donne nel mondo del lavoro.  Un problema che si registra dalla micro azienda a gestione familiare alla grande multinazionale e che si va aggiungere alle statistiche elaborate dal Cnel, già prima dell’avvento della crisi, che identificavano nella “giovane donna del sud” il lavoratore più disagiato per la difficoltà all’accesso, le progressioni di carriera, il livello di retribuzione e l’importo della pensione.
Gli studi di cognitivismo e psicologia del lavoro ormai da anni concordano sul fatto che le donne possono sviluppare nel mondo del lavoro delle competenze e capacità differenti rispetto ai colleghi maschi –trovando delle soluzioni differenti – e talvolta più efficaci – a un medesimo problema.  Gli imprenditori di tutti i paesi industrializzati, però, ancora non riescono a vedere la donna come “multitasking”, cioè capace di guardare un problema in differenti angolazioni e gestirlo con professionalità, ma semplicemente come una “collezionista di assenze” per la propensione alla maternità e ruoloprioritario per la cura dei figli. Sono lontani per il nostro territorio i casi come quello di Marissa Mayer, topmanager di Yahoo! assunta durante il periodo di gravidanza. Quel che hanno ben capito oltre oceano è che la donna è una risorsa umana produttiva “nonostante” la sua funzione sociale al di fuori dell’azienda. Blandi e troppo isolati casi si possono registrare in Italia: dal progetto di rientro nel mondo del lavoro della Whirlpool alle giornate din famiglia della Kellogg’s all’impegno con un “fiocco rosa in azienda” di Donne Manager di ManagerItalia.
Un dipendente che riesce a conciliare bene la sfera privata con quella pubblica è un lavoratore soddisfatto che si reca al lavoro sereno e genera una maggiore fidelizzazione all’organizzazione e, di conseguenza, maggiore profitto. Per un imprenditore, dunque, valutare le esigenze dei propri dipendenti, individuare le criticità e, ove possibile, ridurle o annullarle diventa non soltanto una responsabilità sociale nei confronti del territorio ma anche (e per certi soggetti soprattutto!) un investimento che si traduce in benefici economici per la propria azienda. Ciò è possibile con il Work Family Balance, un’indagine che consente di capire i reali problemi dei propri dipendenti, le possibili soluzioni e i costi di attuazione.
Mettere al mondo un figlio non deve essere considerato un atto di eroismo ma una scelta d’amore. Il datore di lavoro, sia esso del settore pubblico o privato, deve assumersi la responsabilità sociale di accogliere le istanze delle proprie dipendenti e – ove possibile –concedere il telelavoro, il part time o, in generale, accordarsi per una flessibilità oraria fissando degli obiettivi che vanno raggiunti senza dover rigidamente definire l’orario di lavoro. Tra i punti maggiormente critici per le lavoratrici esiste quello dell’affidamento del proprio figlio durante le ore di lavoro soprattutto in assenza di una rete informale  costituita da genitori o parenti. L’Unione Europea, nel 2010 a Lisbona, affrontando il problema dell’occupazione femminile ha invitato i Paesi membri a garantire una collocazione adeguata almeno al 33% dei bambini in età prescolare. Una percentuale alla quale ancora siamo ben lontani e che diventa un ostacolo spesso insormontabile imponendo a circa il 40% delle donne a rimanere fuori dal mondo del lavoro con il rischio che, quando i bisogni del bambino diminuiranno, il divario tra le aspettative del mondo del lavoro e la professionalità offerta dalla donna sarà insormontabile.
A livello nazionale – dal Governo o dalle associazioni – sono arrivate diverse proposte di politica familiare, talvolta agli antipodi ma, per trovare quella più vantaggiosa è necessario analizzare tutti i “pro” e i “contro”. (leggi…)
La donna, però, troppo spesso si trova a dover fare una scelta tra la sfera personale e quella professionale e, dunque, tra quella di madre o di lavoratrice.  Esiste dunque una necessaria antitesi tra i due mondi? La conciliazione non è impossibile ma, per passare dalla teorica possibilità prevista dalle normative nazionali all’effettiva applicabilità necessita un impegno di tutti i soggetti che operano nel territorio, siano essi referenti del settore pubblico o privato. Alcune proposte sono state avanzate da associazioni private e Governi ma, spesso, quello che in apparenza appare vantaggioso si può rivelare un pericoloso boomerang per l'incremento dell'occupazione femminile.
Una soluzione è quella di aprire le porte a un asilo aziendale che possa accogliere i figli dei dipendenti a prescindere se si tratti dei padri o delle madri. Un luogo confortevole e adatto ad accogliere un bambino non troppo lontano dal posto di lavoro del genitore e che garantisca, al contempo, elevati standard di qualità della struttura e del personale preposto. Un ambiente insonorizzato, pronto a soddisfare le esigenze dei più piccoli, compatibile con gli orari di lavoro e con un costo agevolato rispetto alle strutture esterne. Di solito sono le grandi aziende a realizzare questo tipo di azioni positive ma, in una realtà come la nostra è possibile avviare un asilo creato da un consorzio di aziende e affidando la gestione esternamente. In questo caso l’azienda parteciperebbe a una parte delle spese migliorando il clima interno, rafforzando la propria immagine all’esterno e sollevando il lavoratore dalla sindrome dell’abbandono. Nel caso in cui esista un nido aziendale, inoltre, il lavoratore dimezzerebbe le ore di congedo durante il primo anno di vita del bambino (quelle che sono definite comunemente le “ore di allattamento”) perché si annullerebbero i tempi di spostamento del genitore verso il proprio figlio.
Una politica family friendly che può essere applicata anche nel settore pubblico per i dipendenti dell’amministrazione comunale in un luogo adatto e nel quale c’è la maggiore concentrazione di uffici. La Ministra Carfagna, durante il suo mandato, incentivava l’avvio di queste strutture spiegando che “non c’è di meglio che sapere i propri piccoli in mani esperte a due passi dalla propria scrivania”. E il primo passo verso il cambiamento della cultura lo devono compiere proprio le donne: che non devono “discriminare” le madri che scelgono di rientrare velocemente al proprio posto giudicandole come “irresponsabili” o “stakanoviste” ma, magari, devono riflettere che se avessimo maggiore collaborazione a casa, uno stipendio adeguato per assumere – “in regola” – una collaboratrice domestica  e un nido aziendale anche loro rientrerebbero al lavoro con meno preoccupazioni e riuscirebbero a dedicare il tempo di qualità necessario ai loro figli per crescere e diventare cittadini di domani.

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